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14 settembre 2015

I cavoli miei

Avvertenza: è una favola e va letta (obbligatoriamente) con la cadenza e il tono di voce dei bambini. Lo so che non è facile, però è semplice.


I cavoli miei.

La mia mamma mi ha raccontato che quando sono nato io, sono nato sotto un cavolo.
Quel giorno i lombrichi e le talpe aravano la terra insieme col trattore cingolato del mio papà.
Siccome sono nato sotto un cavolo, allora - a me - mi ha battezzato la pioggia.
I bambini nati sotto i cavoli diventano persone grandi molto diverse da quelle che sono state portate dalle cicogne: chi è nato sotto un cavolo vede il mondo dal basso verso l’alto.
Le cicogne, i deltaplani e gli elicotteri col telecomando sono cose da bambini ricchi.
Quelli atterrano, mentre gli aquiloni che costruisce il nonno decollano e quando si rompe il filo partono.
Ai bambini nati sotto i cavoli, il mondo sembra molto più grande ed è ancora tutto da esplorare, quindi sono molto più curiosi rispetto ai bambini che il mondo lo scoprono tutto in una volta, tutto insieme dall’alto.
Questo io l’ho detto alla mia mamma e lei - dopo - mi ha detto che si è finalmente spiegata il motivo per il quale sono sempre in mezzo come il cavolo.
La mia mamma dice anche che di bambini nati sotto un cavolo ne siamo una ciurma, perché di mamme che hanno fatto una cavolata ce ne sono tante in tutto il mondo: c’è chi è nato sotto un broccolo e si capisce - dice lei - che non possa essere troppo bravo a scuola e chi, invece, l’hanno trovato sotto le cime ed è tutta rapa.
Ecco perché esistono i cavoli neri e i cavoli cinesi o, per i bambini inglesi, i cavoli cappuccio.
Mia sorella, lei fa la smorfiosa e dice di essere nata sotto un cavolfiore.
Ma io non ci credo
E ho detto al maestro che il cavolo di mia sorella aveva gli afidi cerosi ed era tutto brutto quando è nata.
Lui viene dalla città e, invece di arrabbiarsi, ha sorriso. È stato contento, perché mi ha detto che gli ho insegnato una parola nuova e che ogni parola nuova che si impara e che si insegna è un piccolo atto di creazione - dice lui - che aggiunge un pezzettino di mondo al nostro mondo.
E così ha disegnato un pianeta con il gessetto bianco sulla lavagna nera e dentro ci ha scritto proprio “afidi cerosi”.
Il mio papà mi aveva detto, invece, che gli afidi cerosi sono una brutta cosa.
Ieri la mia mamma mi ha chiesto di raccontare al papà cosa facciamo a scuola, e quando io ho nominato gli afidi cerosi, lui si è arrabbiato tanto come se gli avessi detto una parolaccia. Adesso dice sempre che a scuola ci insegnano solo stupidaggini, ma a me - invece - piace pensare ai grossi pidocchi extraterrestri di gesso che conquistano i mondi neri della lavagna.
E così io ci penso e non glielo dico.
Ad accomunare bambini nati sotto cavoli diversi, c’è il fatto che vanno sempre in giro con i nonni e i nonni per non perderseli se li attaccano alla cintura. Così, quando i nonni si fermano a parlare con altri nonni, i bambini nati sotto i cavoli si perdono in mezzo ad una foresta di gambe. Invece, quelli portati dalla cicogna, il loro papà li tiene sempre in braccio, ma così non possono vedere il bar da sotto il tavolo del bar.
A guardare il bar da sotto il tavolo del bar, si può scoprire il mondo di noi bambini nati sotto i cavoli.
I bambini portati dalla cicogna, che stanno sempre in alto, loro non lo vedono e credono che esista solo il mondo visto dall’altezza delle persone grandi, ma non è così.
Il mondo sotto il tavolo è molto più popolato di quello sopra il tavolo - è lì, infatti, che si scontrano eserciti contrapposti di formiche e di molliche, spesso armati di puntine e forcine per capelli - e tutte le cose che ci si possono trovare, sono cose molto utili.
E poi, bisogna imparare a scavalcarle lì, le cose.
Insomma, ho capito che noi bambini nati sotto i cavoli passiamo molto tempo con il naso per aria - come dice la mamma - mentre quelli portati dalle cicogne il naso lo tengono sempre in basso.
Però, anche se siamo così diversi, io quando li incontro con quei bambini ci gioco insieme.
Finora ne conosco solo uno.
Mi ha detto che il suo papà lo manderà a studiare alla scuola dei piloti d’aeroplani e che lui ce l’ha un elicottero col telecomando.
Io non ci credevo e allora un giorno me l’ha fatto vedere.
Lui, mentre aspettava di farlo decollare, già pensava all’atterraggio (perché l’atterraggio è la fase più delicata, gliel’ha insegnato il suo papà).
Quel giorno ho capito che anche i bambini portati dalle cicogne sono capaci di guardare il mondo col naso all’insù, solo che di solito non lo fanno, perché non hanno tempo, devono rimanere concentrati sull’atterraggio.
Anche il mio papà non ha mai tempo, perché lavora tutto il giorno sul trattore cingolato.
Forse da grandi - esseri senza tempo, abituati a guardare il mondo dall’alto verso il basso - tutti dimentichiamo un po’ di guardare in su.
“Il tuo elicottero, però, non ci può arrivare fino alle stelle”.
Lui ha guardato in alto, valutando la possibilità di un atterraggio dalle stelle, ma non c’erano le stelle, perché era giorno.
C’erano le nuvole.

1 commento:

marina ha detto...

ciao, Sara, è bella la tua favola. È triste doverti dire addio, marina